Così scrive Giovan Giuseppe Cervera nella sue ricerche presentate il 4 ottobre del 1959 parlando di una Ischia sconosciuta, l'isola delle Pietre di tufo.......
"Una scorribanda per l'Isola di cui ogni palmo cela una misteriosa bellezza. La Falanga solitaria come un convento di frati; S. Angelo, ultimo vestigio d'un passato aprico, ultimo capriccio di un'era fatata; Castanite, prora di bastimento sopra un'immensa colata lavica che, come mare in tempesta, s'avvolge in mille contorcimenti di perpetua agonia; il Castello venuto a costruirsi come un paesaggio fiabesco; il Porto che in certi momenti del giorno assomiglia a una giostra fatata in cui corrono in delirio carrozzelle ai fili d'oro con l'ultimo vertice degli alberi, e una folla di gente gesticolante in giro su questo carosello di luci e di colori; Matarace su cui tutti si soffermano a contemplare e si stropicciano gli occhi per vedere se è un sogno o una realtà questo presepe vivente che pare stia in mezzo ai monti circostanti come un bel giocattolo tra ninnoli d'oro; la Guardiola di Testaccio, piccola vedetta isclana che scruta dall'alto del cassere l'orizzonte; l'Epomeo che riserva all'ora del tramonto pure emozioni; S. Montano, ultimo canto della natura: come vedete ci troviamo già di fronte ad un modo diverso di intendere l'Isola, inconfondibile per i suoi nomi caratteristici, perché esso è il modo di vedere di chi ama l'Isola, che l'ha percorsa in lungo e in largo traendo da ogni zolla di terra ispirazione e amore.
Di qui nasce quell'entusiasmo per i sentieri ,per i viottoli, per le arene delle spiagge, per la cristallina trasparenza del mare, PER LE PIETRE DI TUFO DISSEMINATE DAPPERTUTTO, per gli scogli che popolano il mare. E' solamente in questa cornice che gli esseri inanimati possono pigliar vita e partecipare alla nostra, innestandosi sulla nostra vita giornaliera come il parametro che l'abbellisce, l' armonizza e le conferisce continuo alimento. Chi, infatti potrebbe sottrarre tale ebbrezza a chi abita nella Piscina Leggia, nella PIETRA SPACCATA, nella Pietra di Lacco (Pannella), nella Pietra di Santa Maria, in quella del Turco o in quella di Zerrone o in Pietra Mosca o nella Pietra di Tramontana o nella Casa del Cefarotto? Chi potrebbe distogliere dalla partecipazione alla nostra vita di ogni giorno quei comignoli che sporgono il capo dai tetti, quegli archi che vivono con noi, quelle "parracine" e quelle "madonnelle" che partecipano e accompagnano la nostra esistenza, che, con noi, son venuti quasi a costruire il nostro carattere e che, come questo, stanno attorno a noi come custodi di un modo di vivere semplice e onorabile?
Per non allontanarci dall'oggetto della nostra conversazione, addentriamoci a questo punto alla scoperta di alcune segrete bellezze che Ischia riserva a coloro che si avvicinano con ansia d'innamorati. Avviciniamoci a tutte quelle pietre di tufo sparse un po' dovunque per l'Isola. Sono molte, dai nomi diversi. Alcune di esse, trasformate in abitazioni, custodiscono ancora il caldo di una famiglia come la Pietra Spaccata e la Pietra di Cazzuoli, al Ciglio; Pietra Mosca, a Forio; Pietra di Tramontana, al Cuotto; la Pietra, a Lacco; Pietra del Turco, a Casamicciola; Pietra di Santa Maria al Monte. Altre rimangono cantine, come Pietra Pedrone, al Maio; Pietra di Zerrone, a Forio. Altre, infine, sono scavate per un riparo nei tempi rigidi e contengono una cisterna che raccoglie l'acqua che cade sulla stessa pietra, o restano solo pietre che si impongono per la loro singolare bellezza...."
Read MoreIl Tufo Verde dell'Epomeo è la pietra tipica dell'isola d'Ischia, soprattutto delle zone di Forio e di Serrara Fontana. Numerose e notevoli le testimonianze della presenza di questi enormi blocchi di pietra verde a valle e a monte: lungo le coste dell'isola d'Ischia, per esempio, rinveniamo il “Becco dell’Aquila” e gli “Scogli Innamorati” a Forio e il “Fungo” a Lacco Ameno così come più su, in montagna, troviamo, in quel di Forio, LA PIETRA SPACCATA, La Pietra di Santa Maria al Monte e a Serrara Fontana La Pietra dell'Acqua, Pietra Perciata, solo per citarne alcuni. Si tratta di blocchi tufacei della medesima roccia vulcanica che pare debba la sua colorazione grigio-verde al contatto con l’acqua sottomarina. O, perlomeno, è questa l’ipotesi più accreditata nella comunità scientifica.
"La sua origine (del tufo verde) si fa risalire tra i 55.000 e i 33.000 anni fa ed è responsabile della formazione di una caldera che probabilmente occupava la parte centrale dell'isola. Quest'ultima, infatti, a quel tempo fu soggetta a un susseguirsi di impetuose eruzioni di tipo esplosivo, dalle quali derivarono le 'nubi ardenti', sospensioni di brandelli di lava, ceneri, pomici ed emissioni gassose caldissime, unite a carichi di detriti solidi, che andarono a ricoprire una vasta area del territorio e che, una volta saldatosi tra loro, costituirono uno spesso strato ignimbritico. Inoltre tali nubi ardenti colmarono in parte la depressione calderica, che fu successivamente invasa dal mare, in parte ricoprirono le zone allora emerse. A contatto con l'acqua sottomarina la nube, anche nota come flusso piroclastico, diede origine al tufo verde, la cui colorazione si attribuisce al lungo contatto con l'acqua di mare".
Cosi scrive Mariarosaria Mazzacane autrice del capitolo "Il Monte Epomeo e la sua preziosa pietra: il tufo verde" del volume "Ischia, patrimonio dell'umanità, Natura e cultura" (a cura di Ugo Leone, Pietro Greco Doppiavoce edizioni, 2014).
Quel che è certo, la grande quantità di tufo verde, specie nei comuni di Forio e Serrara Fontana, ha avuto implicazioni importanti sul piano sociale. In primis per l’agricoltura, giacché i terreni tufacei tradizionalmente garantiscono un’ottima capacità drenante, e poi in edilizia per la grande quantità di terreni argillosi e pietre da taglio da utilizzare nella costruzione delle case e dei muri a secco a delimitazione delle proprietà, le famosissime “parracine“. Addirittura, in molti casi, la presenza di mega blocchi di tufo verde suggerì alle antiche maestranze ischitane di scavare direttamente al loro interno per ricavarne cantine, ricoveri per il bestiame e talvolta cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Come la cantina e il cellaio all'interno della Pietra Spaccata e la sua cisterna scavata nella sommità da cui i contadini attingevano l’acqua per i bisogni dell'agricoltura vitivinicola ma anche per uso personale. Il tufo verde rivelava qualità eccezionali, non solo come dimora, ma anche come sistema di conservazione del vino. Fresco d’estate, sprigionava nei freddi mesi dell’inverno il calore assorbito nell’estate, rendendone meno duri i rigori. E il vino, poi, tenuto nei cellai entro le botti di castagno, «quando lo spillano» dice il Maiuri «ed esce da quel tenebrore, ha ancora tanto sole e calore da risplendere ambrato».
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